“Leggo che per conoscere perfettamente l’inglese, padroneggiarlo, occorrono diecimila ore di studio.
Oltre quattrocento sedici giorni.
Quasi sessanta settimane.
E penso a quanti altri magnifici argomenti non facendolo volutamente ed anzi quasi ignorandolo mi sono proficuamente dedicato!”
Mauro della Porta Raffo
‘Il Discorso dell’Orso’
ovvero il Destino degli Stati Uniti secondo Teddy Roosevelt, “quel maledetto cowboy” (come lo aveva definito Mark Hanna) che sapeva guardare lontano
“Secondo me, l’orso grizzly è il vero simbolo degli americani.
Forza, intelligenza, aggressività.
Forse è un po’ cieco, avventato, ma coraggioso in tutte le circostanze.
E ha un’altra cosa in comune con gli americani: lo stare solo.
L’orso passa tutta la vita da solo, è indomabile, invincibile sempre da solo.
Non ha alleati, solo nemici, ma nessuno della sua mole.
E questo lo fa assomigliare agli americani.
Il mondo non ci amerà mai.
Ci rispetteranno, forse.
Avranno paura di noi ma non ci ameranno.
Perché noi siamo un popolo troppo audace e un po’ cieco, un po’ avventato.
Come l’orso!”
Questo, nella versione del regista e sceneggiatore John Milius nel coinvolgente ‘Il vento e il leone’, il celebre ‘Discorso dell’orso’ pronunciato dopo una giornata di caccia nel parco nazionale di Yellowstone dal Presidente Theodore Roosevelt (molto bene rappresentato nella circostanza da Brian Keith che non sfigura affatto nel confronto a distanza con uno splendido Sean Connery a propria volta nei panni di Mulay Achmed Mohammed el-Raisuli il Magnifico) dispiaciutissimo per essere stato costretto dalle circostanze ad abbattere anche un
grizzly, animale verso cui nutriva la massima
considerazione e al quale mai avrebbe voluto sparare.
Siamo agli inizi del Novecento e già gli americani sanno quale sia il destino che li aspetta: il mondo potrà rispettarli, temerli, ma non li amerà mai!
Varese 3 ottobre 2023
Gerrymandering, dopo quattro righe d’attualità decisamente meno interessanti
Certo che guardando ai continui rinvii a giudizio di Donald Trump ad opera di inquirenti tutti appartenenti al partito democratico viene da chiedersi perché gli asinelli si diano tanto da fare per garantire, facendogli una incredibile pubblicità, la Nomination al tycoon.
Ci sarà una ragione.
Ciò detto, in qualche non poi lontano modo restando in argomento, veniamo al tema al quale intendo dedicare molta più attenzione, Gerrimandering.
C’è modo e modo per passare alla Storia (con la esse maiuscola nel caso?).
Elbridge Gerry ebbe a scegliere quello di ideare e realizzare il sistema migliore per far vincere al proprio partito, agli amici, le elezioni per la Camera dei Rappresentanti.
Governatore del Massachusetts dal 1810 al 1812 (poi, ma non ci riguarda adesso, per poco tempo perché morto in carica, Vice Presidente), approfittando alla grande del potere che aveva nel disegnare i relativi Collegi elettorali, guardando ai risultati delle precedenti votazioni e alla collocazione degli elettori, li componeva in modo da far prevalere i suoi.
Guardando alla cartina del suo Stato e alla colorazione diversa e varia della stessa (ogni Collegio una nuance), a un osservatore venne in mente una salamandra.
Salamander in inglese, da cui quanto al metodo Salamandering e subito dopo Gerrymandering.
Ebbene, capita ancora oggi, di quando in quando, che il sistema venga qua o là usato.
Magari, per far fuori un rompiscatole, addirittura eliminando un Collegio e creandone un’altro.
Si spiega così perché se si dà una attenta occhiata alla carriera di qualche uomo politico un po’ ribelle, ci si accorge che, se gli è andata male, ha dovuto ritirarsi, mentre nel caso contrario è riuscito a farsi comunque eleggere ma in Distretti diversi o differentemente formati.
Altrettanto non è possibile fare con le votazioni senatoriali perché la Circoscrizione coincide con lo Stato.
Varese, 2 ottobre 2023
Cosa ha voluto politicamente dire non aver mai usato il sapone di Aleppo
Elezioni presidenziali USA 2016.
Data la situazione (Hillary Rodham Clinton non finisce di piacere e il rude Donald Trump anche: il loro veniva definito uno “scontro fra antipatici”)…
Data la consistenza del ticket messo in campo: due ex Governatori già repubblicani di rilievo nazionale, Gary Johnson del New Mexico in prima fila e William Weld del Massachusetts candidato Vice…
Il Libertarian Party, nato soltanto nel 1971 e nelle precedenti votazioni praticamente impalpabile, viene accreditato nei sondaggi finagostani concernenti le intenzioni di voto di un davvero notevole nove/dieci per cento.
È tra i temi di politica internazionale di maggior peso a quel mentre la guerra civile siriana.
È a metà circa del successivo settembre che nel corso di un dibattito televisivo, richiesto in particolare di esprimere una opinione “a proposito di Aleppo”, laddove si combatteva ferocemente sotto gli occhi attenti dei media internazionali, Gary Johnson, a dir poco infelicemente, dimostra letteralmente di non sapere “cosa sia” Aleppo.
È l’inizio di un declino (ovviamente, la gaffe sarà cavalcata in ogni modo possibile dai rivali) che porta i libertariani a raccogliere infine a novembre ‘solo’ (si tratta pur sempre del miglior risultato all time del partito) il tre e ventotto per cento dei voti popolari pari a quasi quattro milioni e mezzo di voti.
Mi chiesi allora (e mi chiedo) come sarebbero andate le cose – magari incidendo il risultato libertariano sulla attribuzione degli Elettori in qualche Stato vinto sul filo di lana da Trump – se Johnson avesse usato almeno una volta per lavarsi il diffuso sapone d’Aleppo, la qual cosa quasi certamente l’avrebbe condotto a non cadere nella politicamente tragica gaffe illustrata.
Mah?
Varese, 1 ottobre 2023
Il ‘maccartismo’ prima di McCarthy
Narrazione vuole che negli Stati Uniti d’America, terminata la guerra contro Saddam e il suo regime, alcuni tra i più impegnati attori hollywoodiani, in precedenza dichiaratisi apertamente avversi all’intervento in Iraq (in particolare, Susan Sarandon, il marito Tim Robbins e Martin Sheen – anni orsono, protagonista di ‘Apocalypse Now’ ed interprete della serie tv ‘West Wing’ nella quale era un presidente indubbiamente e appunto molto ‘liberal’), si sarebbero trovati ad affrontare una sorta di boicottaggio per il loro atteggiamento considerato ‘antiamericano’.
Al riguardo, non pochi all’epoca arrivarono, al fine di segnalare con un tristemente famoso vocabolo un supposto atteggiamento persecutorio dell’amministrazione del secondo Bush, a parlare di ‘nuovo Maccartismo’.
Ora, per il vero, la persecuzione più dura nei confronti degli uomini di spettacolo in genere (non solo di quelli della ‘Mecca del cinema’ ma anche dei divi della radio – si legga, in proposito, ‘La guerra di Archer’ di Irwin Shaw – del teatro nuovaiorchese e della nascente televisione, tutti al centro delle ‘attenzioni’ dei più accesi anticomunisti), nota con il nome di ‘Caccia alle streghe’, si ebbe subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nella metà declinante degli anni Quaranta, e precedette di poco il vero Maccartismo considerando che il famigerato senatore repubblicano Joseph McCarthy arrivò alla guida della apposita Commissione inquirente solamente nel 1950.
Per inciso, l’immaginifica espressione giornalistica ‘Caccia alle streghe’, già applicata per descrivere quanto accaduto nel 1919 allorché, in concomitanza della nascita del Partito Comunista americano, molti si mobilitarono per combattere il presunto ‘pericolo rosso’, darà poi modo al grande drammaturgo Arthur Miller di scrivere, nel 1953, il potente ‘Il crogiuolo’, ispirato all’ultimo caso realmente verificatosi negli USA di persecuzione di alcune presunte streghe: il processo di Salem del 1692.
Teatro dell’affondo anticomunista – e torniamo ad occuparci specificamente di Hollywood – la Commissione parlamentare di indagine sulle attività antiamericane, nata nel 1938 per combattere nazismo e fascismo, della quale, all’epoca, segretario generale era J. Parnell Thomas.
Le sedute della Commissione ebbero inizio a porte chiuse nella primavera del 1947 con la deposizione dei testimoni d’accusa.
Tra i più solleciti nel denunciare i colleghi presunti ‘comunisti’ Gary Cooper, Walt Disney, Robert Montgomery, il futuro presidente Ronald Reagan, Robert Taylor e Adolphe Menjou.
Trascorsi sei mesi, le sedute vennero aperte al pubblico.
Durarono solo due settimane e dieci tra i convocati in veste di accusati o di testimoni (in seguito, noti appunto come ‘I Dieci di Hollywood’) si rifiutarono di rispondere e furono in vario modo perseguiti e perseguitati nonché collocati nella cosiddetta ‘lista nera’.
Chi entrava a farne parte subiva un ostracismo pressoché totale (si veda il film ‘Indiziato di reato’, di Irwin Winckler con Robert De Niro) tanto da non poter più lavorare, almeno con il proprio nome (in proposito, ‘Il prestanome’, di Martin Ritt con Woody Allen).
I ‘Dieci’ – tutti sceneggiatori o registi – erano John Howard Lawson, Dalton Trumbo, Lester Cole, Alvah Bessie, Albert Maltz, Ring Lardner jr, Samuel Ornitz, Herbert J. Biberman, Edward Dmytryck e Adrian Scott.
Contro l’operato della Commissione, da subito, si mobilitarono molte star di grande nome che costituirono un ‘Comitato per il primo Emendamento’ del quale furono nominati segretari John Huston, William Wyler e Philip Dunne.
Lo loro prima azione pubblica fu l’invio a Washington di una delegazione (ne facevano parte, fra gli altri, Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Danny Kaye, Gene Kelly e Jane Wyatt) decisa a controllare che i diritti degli inquisiti fossero tutelati.
Al loro arrivo, tale fu il clamore che le sedute della Commissione dovettero essere temporaneamente sospese.
Alla fine, i ‘Dieci’ – incriminati per ‘oltraggio al Congresso’ a causa del rifiuto opposto a rispondere alla domanda “Siete o siete mai stati in passato membri del Partito Comunista?” – furono abbandonati al loro destino a causa della posizione eccessivamente radicale assunta e l’industria cinematografica, in prima fila le Case di produzione, decise nel novembre dello stesso 1947 che essi non avrebbero potuto lavorare ad Hollywood, a Broadway o altrove finché non avessero appunto dichiarato di non essere mai stati comunisti.
La battaglia legale si protrasse per oltre due anni e mezzo prima che i ‘Dieci’ finissero davvero in galera.
Ironia del destino, il segretario della Commissione J. Parnell Thomas, condannato per truffa, andò a far compagnia ad uno dei suoi perseguitati in prigione.
Tra i moltissimi uomini di spettacolo coinvolti in vario modo e a diverso titolo nella ‘Caccia alle streghe’ o, in seguito, nel vero e proprio Maccartismo, Charles Chaplin – costretto a lasciare gli Stati Uniti e risarcito con un tardivo Oscar “per il contributo dato all’arte cinematografica” nel 1971 – il grande scrittore e sceneggiatore Dashiell Hammett (recluso per sei mesi benché malato), la drammaturga Lillian Hellman, i registi Joseph Losey e Jules Dassin, esuli volontari in Europa.
Molti, chiamati alla sbarra in veste di testimoni, ‘tradirono’ amici e colleghi per paura delle conseguenze di un loro rifiuto a collaborare denunciandone vere e a volte false ‘simpatie rosse’.
Fra gli altri, il grande Elia Kazan (anni e anni dopo, allorché all’autore di ‘Fronte del porto’ fu assegnato l’Oscar alla carriera, le polemiche si sprecarono) e l’ottimo attore Sterling Hayden che non seppe mai perdonarsi la propria debolezza.
Per la storia, è solamente a partire dai primi anni Sessanta che alcuni tra i ‘Dieci’ ebbero di nuovo accesso a Hollywood (per esempio, Dalton Trumbo, per iniziativa di Kirk Douglas, potè firmare nel 1960 la sceneggiatura di ‘Spartacus’, diretto da Stanley Kubrick), nel mentre, dopo l’improvvisa caduta di Joseph McCarthy nel 1953, la Commissione parlamentare per le attività antiamericane subì un progressivo decadimento, anche se, ancora sotto la presidenza di Richard Nixon, Jane Fonda, Gregory Peck ed altre celebrità furono ufficialmente definiti ‘nemici del presidente’.
Tempi, quelli narrati, di ‘guerra fredda’, di durissima contrapposizione ideale e ideologica tra USA e URSS.
Varese, 30 settembre 2023
Il caso in cui il voto di un elettore del Wyoming vale quanto quello di sessantotto elettori della California!
Allora, supponiamo che i candidati alla Casa Bianca in corsa nel 2024 in grado di vincere il 5 novembre negli Stati conquistando i relativi Elettori (con l’iniziale maiuscola per distinguerli da quelli normali) siano tre (è accaduto nel 1824 ed invero in quella circostanza furono addirittura quattro) e che data la distribuzione tra gli stessi di coloro che poi, riuniti nel Collegio Elettorale, effettivamente il 16 dicembre seguente dovranno nominare il Presidente, nessuno tra loro raggiunga la maggioranza assoluta pari a duecentosettanta (essendo in totale cinquecentotrentotto).
Nell’ipotesi, la decisione sarà demandata alla Camera dei Rappresentanti che procederà attraverso ballottaggi nell’ambito dei quali non si esprimono in merito i singoli componenti il consesso ma sono gli Stati a votare ‘per Delegazione’.
Questo vuol dire che ciascuno dei membri dell’Unione a questo punto varrà uno.
Questo vuol dire, quindi che il peso del Wyoming (che conta 580.000 abitanti) e quello della California (39.500.000) sarà lo stesso.
Questo significa che il suffragio di un wyomingite varrà quanto quello di sessantotto e più cittadini dello Stato con capitale Sacramento!
Varese, 25 settembre 2023
La distribuzione degli Elettori in occasione delle votazioni del 2024
La distribuzione degli Elettori delegati – nel numero totale di cinquecentotrentotto (tale dalle votazioni del 1964 essendo ovviamente cresciuti man mano di numero con l’ingresso nell’Unione di nuovi membri a far luogo dagli iniziali sessantanove espressi dalle tredici ex Colonie resesi indipendenti) ragione per la quale la maggioranza predetta è di duecentosettanta – conseguente ai risultati del Censimento del 2020 e valida per quanto qui interessa in occasione delle elezioni presidenziali del 2024 è la seguente:
Alabama, 9
Alaska, 3
Arizona, 11
Arkansas, 6
California, 54
Colorado, 10
Connecticut, 7
Delaware, 3
District of Columbia , 3
Florida, 30
Georgia, 16
Hawaii, 4
Idaho , 4
Illinois, 19
Indiana, 11
Iowa, 6
Kansas, 6
Kentucky, 8
Louisiana, 8
Maine, 4
Maryland, 10
Massachusetts, 11
Michigan, 15
Minnesota, 10
Mississippi, 6
Missouri , 10
Montana, 4
Nebraska, 5
Nevada, 6
New Hampshire, 4
New Jersey, 14
New Mexico, 5
New York, 28
North Carolina, 16
North Dakota, 3
Ohio, 17
Oklahoma, 7
Oregon, 8
Pennsylvania, 19
Rhode Island, 4
South Carolina, 9
South Dakota, 3
Tennessee, 11
Texas, 40
Utah, 6
Vermont, 3
Virginia, 13
Washington, 12
West Virginia, 4
Wisconsin, 10
Wyoming, 3
Esistono, come si vede, Stati ‘pesanti’ (guardando a quanto ora riportato, in particolare la California e il Texas) ma non è detto sia necessario prevalere in questi contando altroché una eventuale ‘collezione’ di quelli ‘minori’.
Varese, 23 settembre 2023
Si fa presto a dire a Biden “non ricandidarti!”.
Quanti in precedenza l’hanno fatto volontariamente?
Vincendo (numerosi) o perdendo (meno), molti Presidenti USA hanno cercato e ottenuto un secondo mandato (Franklin Delano Roosevelt, un terzo e un quarto!).
Visto che non pochi chiedono a Joe Biden di fare un passo laterale e rinunciare alla Nomination, quali i predecessori che effettivamente non hanno almeno brigato in tale prospettiva?
Detto per cominciare che, in qualche modo consuetudinariamente per tutto l’Ottocento i Vicepresidenti subentrati mortis causa avevano portato a termine il mandato del titolare e poi lasciato (John Tyler, con riluttanza, Millard Fillmore, che si ripropose ma solo successivamente, Andrew Johnson e Chester Arthur); detto che ovviamente i morti nel corso del primo quadriennio non lo fecero (ah, ah), il Presidente che avendo promesso un solo mandato diede effettivamente seguito all’impegno fu James Polk, eletto nel 1844.
Il successivo unimandatario Franklin Pierce è tale in quanto sconfitto nella ricerca di una seconda Nomination essendo invece intenzionato a riprovare.
Come Polk, pressappoco, James Buchanan che alla fine era talmente contento di andarsene che disse al subentrante Lincoln che si augurava che fosse felice di entrare a White House quanto lui di lasciarla.
Accennato al fatto che Ulysses Grant venne fermato alla Convention repubblicana nel 1880 – anno nel quale di contro si ritirava in buon ordine Rutherford Hayes – mentre cercava una terza candidatura, arrivando al Novecento, i soli che non si ripresentano sono i Vicepresidenti subentrati, dipoi eletti in proprio, nella possibilità di riprovare e invece, avendo governato comunque più di quattro anni, ritirati: Theodore Roosevelt (che invero dopo combinerà un grosso guaio cambiando idea), Calvin Coolidge, Harry Truman e Lyndon Johnson.
Insomma, si chiede a Biden di imitare Polk, Buchanan e Hayes alla distanza, nel 2024, rispettivamente di centosettantasei, centosessantaquattro e centoquarantaquattro anni.
Briscola!
Varese, 22 settembre 2023
Come infine parlare di William Zebulon Foster, il più serio candidato comunista a White House
Capita che trattando del da non molto tempo scomparso Dick Fosbury, meglio, per collegamento, del suo predecessore George Horine (il salto in alto ‘alla Horine’, ventrale e bello da vedere, è venuto parecchio prima di quello antiestetico ma più efficace e di successo, di schiena, appunto ‘alla Fosbury’), mi ricordi di ‘Tom Dooley’, ballata di grande fascino portata all’attenzione mondiale nel 1958 dal Kingston Trio.
Fatto è che ai tempi, tra Noi, l’inglese – volgare quanto nobile andava considerato il francese – era volutamente sconosciuto e i nomi, le parole in genere d’Albione, pronunciati alla bell’e meglio.
Così ‘Horine’, evidentemente non afferrato, era, per Noi, nientemeno che ‘O reili’.
Non altrimenti – è questo il collegamento – accadeva per i versi di ‘Tom Dulei’ (sic), storpiati in assonanza.
Ora, Tom Dula – il personaggio realmente esistito di cui si narrava invero si chiamava così – fu processato, e successivamente impiccato, nella natia North Carolina per il rapimento e l’uccisione della fidanzata.
Nella circostanza – correva il 1868 – difeso ‘pro bono’ dall’allora Governatore dello Stato Zebulon Vance, un notevole uomo politico in altro frangente Senatore.
Zebulon l’ora citato e detto, come Zebulon avrebbe fatto di secondo nome nel seguente Novecento William Zebulon Foster, il più importante candidato comunista di sempre alla Casa Bianca (nel 1932, nel pieno della Grande Depressione, appoggiato dai più noti intellettuali del momento, Edmund Wilson, John Dos Passos, Erskine Caldwell e Countee Cullen inclusi, e – viene da dire “per questo”, considerato il peso elettorale che hanno usualmente gli appelli degli stessi – in grado di collezionare poco più di centomila di voti soltanto).
Avendo studiato parecchio tempo fa di questo Signore – talmente convinto del proprio Credo da vivere gli ultimi anni e morire a Mosca – personalità e gesta, ero rimasto affascinato da quel non solo suo Zebulon scoprendo che si tratta di uno dei nomi ai quali non corrisponde un onomastico visto che nessun Santo lo ha portato, per tale ragione eventualmente festeggiato il primo novembre, non per niente Ognissanti.
Un nome, pertanto, ‘adespota’, molto meglio dell’insipido ‘adespoto’ preferito dai vocabolari, lasciatemelo dire!
Varese, 21 settembre 2023
La volta che a Miami un Italiano sparò a Franklin Delano Roosevelt
Quel che è certo è che Giuseppe Zangara non aveva una buona mira.
L’avesse avuta, la Storia avrebbe avuto tutt’altro corso.
Immigrato negli USA, anarchico, calabrese di nascita, in quel di Miami, il 15 febbraio del 1933, da pochi passi, sparò cinque colpi di pistola a Franklin Delano Roosevelt mancandolo, ferendo alcuni presenti e in particolare il Sindaco di Chicago Anton Cermak – seduto nell’auto accanto a F. D. – che venne successivamente a morte.
Franklin Delano non era ancora in carica visto che l’insediamento era fissato al 4 marzo successivo.
Certo, con i se e con i ma non si fa la storia.
Fosse morto, però, Capo dello Stato sarebbe diventato il Vice eletto John Garner (‘Cactus Jack’!) e chissà cosa avrebbe riservato al mondo questa alternativa.
(In proposito, due articolazioni.
Alcuni sostengono che in verità Zangara – poco dopo finito sulla sedia elettrica – volesse davvero uccidere Cermak per pregresse faccende che riguardavano Chicago.
Poi, il grande Philip Dick – che i più conoscono quale autore dell’opera dalla quale fu tratto ‘Blade Runner’ – in un romanzo di ‘Storia alternativa’ pubblicato nel 1962, all’inizio, ipotizza che Zangara sia riuscito invece ad uccidere F. D. R. con davvero particolarissime conseguenze).
Varese, 20 settembre 2023
Il ‘caso McMullin’
Elezioni presidenziali USA 2016.
Praticamente come indipendente, supportato dall’organizzazione volontaristica ‘Better for America’, fra mille, si candida un interessante personaggio, già agente della CIA ed ex alto esponente del Partito Repubblicano: Evan McMullin, allora quarantenne.
Mc è un mormone e subito la sua presenza nella campagna elettorale ottiene largo appoggio proprio nello Utah.
Al punto che per un qualche momento i sondaggi lo danno colà vincente per voti popolari.
Il che vorrebbe dire che, essendo laggiù in uso il ‘winner takes all’, gli sarebbero attribuiti i sei Elettori (iniziale maiuscola per distinguerli da quelli ‘normali’) ai quali quel membro dell’Unione nella circostanza ha diritto.
Ora, essendo gli stessi Elettori in totale cinquecentotrentotto e la conseguente maggioranza assoluta necessaria per essere eletti Presidente in sede di Collegio duecentosettanta, per un attimo si prospettò l’ipotesi che, restando cinquecentotrentadue gli Elettori disponibili, né Hillary Clinton né Donald Trump superassero il quorum rinviando quindi (cosa accaduta solo nel 1824) la nomina alla Camera dei Rappresentanti attraverso ballottaggi nei quali il consesso si esprime per Delegazione.
Alla fine, McMullin arrivò terzo nello Stato con un peraltro notevole ventuno e mezzo per cento e il temuto caso estremo (che alla prova dei risultati finali, comunque, vista la spartizione largamente favorevole dei Delegati in questione al tycoon, non si sarebbe verificato) non si palesò.
Il ‘caso McMullin’ è memorabile comunque per ricordare che, in situazioni particolari di quasi assoluto equilibrio, anche un solo Stato (figurarsi poi se di un livello maggiore quanto ad Elettori) conquistato da un terzo butterebbe per aria tutto.
Varese, 19 settembre 2023
I partiti politici americani (a volo d’uccello)
Duecentoventiquattro.
Tanti erano i movimenti politici USA riconosciuti al momento della campagna elettorale 2020.
Ovviamente, oggi – e a dire il vero dal 1856 quando si confrontarono la prima volta – i due partiti che si contendono la Presidenza, gli scranni congressuali, i Governatorati e le altre cariche elettive del Paese sono il Democratico e il Repubblicano.
Tentano da qualche decennio di avere una sia pur piccola voce in capitolo il Green e in specie il Libertarian Party.
Prima di arrivare ai predetti Asinelli (il simbolo dei democratici è un Asino) ed Elefantini (quello dei repubblicani – chiamati altresì GOP per via della definizione ‘Grand Old Party’ – è giustappunto un Elefante), una doverosa occhiata ai pochi partiti che hanno avuto almeno la possibilità di correre con qualche chance per White House.
Detto che il Padre della Patria e primo Capo dello Stato George Washington era un indipendente, va ricordato come, nel mentre quegli governava, due importanti movimenti andassero formandosi.
Il Federalista (alla guida massima solamente un quadriennio, con John Adams successore di Washington) e il Democratico-Repubblicano (che si imporrà e sarà ininterrottamente al governo dal 1801 al 1829 con Thomas Jefferson, James Madison, James Monroe e John Quincy Adams, quest’ultimo per un solo mandato, quando i precedenti per due a testa).
La differenziazione tra loro – semplificando oltre ogni misura e dire – in particolare sulla maggiore o minore incidenza del Governo sugli Stati e sulla maggiore o minore indipendenza dal Governo di questi.
È a seguito della dissoluzione (conseguente alle dure e divisive lotte per la Executive Mansion del 1824) del Democratico/Repubblicano che, con Andrew Jackson vincente nel 1828 e in carica dal 4 marzo 1829 (data memorabile) nasce e si afferma il Partito Democratico ancora oggi imperante.
A contrastare Jackson e i suoi, ecco i Whigs che riescono a vincere due volte (nel 1840 e nel 1848, rispettivamente con William Harrison e Zachary Taylor) per poi scomparire.
Una qualche importanza ha agli inizi dei Trenta dello stesso Ottocento il Partito Antimassonico perché è il primo ad introdurre nel sistema che seleziona i candidati la Convention.
(Strano ma vero, il momento nel quale, oggi non da oggi certamente, si conclude il percorso che conduce alla ufficializzazione del pretendente partitico a White House è nato temporalmente prima di Caucus e Primarie che invece, nell’iter, lo precedono).
Una qualche significanza ha anche il Free Soil Party che arriva al dunque, ma perde, nel 1848.
Siamo oramai in un clima di piena contrapposizione, in particolare quanto allo schiavismo che i Democratici del Sud sostengono a spada tratta.
È in questa temperie che origina nel 1854, avendo quale primo punto in programma proprio l’abolizione della schiavitù, il Partito Repubblicano.
Perde il candidato GOP (John Fremont) nel citato 1856.
Vince nel 1860 incarnandosi in Abraham Lincoln.
Conosciamo i conseguenti fatti: la Guerra di Secessione, gli Emendamenti che concedono il voto (agli uomini!) a prescindere dalla razza, l’assassinio (il primo e farà scuola) del Presidente…
I repubblicani dominano in seguito e vincono più o meno facilmente – sia pure con un doppio intervallo (Grover Cleveland, democratico, caso unico, governa per otto anni con un intermezzo) – addirittura fino al 1912 quando si dividono e perdono il confronto con Woodrow Wilson.
Nel mentre, nasce e coglie qualche parziale successo il Partito Populista.
È nei primi decenni del nuovo secolo che perfino il Partito Socialista si fa notare.
Non che ottenga grandi risultati, ma insomma…
I democratici tornano a governare davvero e a lungo a seguito del Crollo di Wall Street del 1929.
Vincono con Franklin Delano Roosevelt (l’unico Presidente eletto più di due volte, cosa dal 1951 impossibile) in quattro occasioni di fila e in una con Harry Truman.
Dopo i Cinquanta governati dal GOP Eisenhower, parte l’altalena.
I due movimenti, sostanzialmente, si alternano.
A partire dalle contrastatissime elezioni del 2000 ad arrivare al 2024, addirittura dodici anni esatti a testa.
Terzi partiti capaci di portare una seria sfida (i citati Green e Libertarian sono, senza offesa, sostanzialmente piumini da cipria) non se ne vedono e difficile ipotizzare ne possa nascere uno con vere prospettive.
Ah, dimenticavo (in fondo è folklore): nel 1932, il Partito Comunista, sostenuto da molti intellettuali, pensò di potere avere un qualche seguito presentando William Zebulon Foster.
Pochissimi i voti, a dimostrazione che i predetti intellettuali, elettoralmente, non contano un fico secco.
Varese, 18 settembre 2023
Vecchiezza
Premetto che scrivendo sul tema cercherò di non farmi condizionare dal fatto di essere nel pieno del mio ottantesimo anno di vita (mah?).
Uno
Per cominciare, i sessantotto anni compiuti di William Harrison al momento dell’Insediamento il 4 marzo 1841 valgono, dati i differenti tempi (pronunciato il discorso mentre pioveva ferocemente, si ammalò e venne a morte esattamente un mese dopo e per dire minimamente dei cambiamenti, oggi, con la penicillina…), gli ottantadue suonati di un Joe Biden intento a giurare il 20 gennaio 2025?
Due
Ha ragione Nikki Haley, oggi cinquantunenne, a sostenere che a una certa età i politici dovrebbero essere congedati e così non fosse comunque assoggettati ad un test di particolare ferocia?
Certo che se Biden e Trump per questa via fossero tolti di mezzo il percorso dell’ex Rappresentante degli Stati Uniti all’ONU e Governatrice (lo sottolineo perché è Donna preparata e penso farebbe bene) verso Nomination prima e Casa Bianca poi sarebbe parecchio spianato.
Tre
“Joe Biden non è vecchio.
È incompetente!” ha gridato forte e chiaro il tycoon due giorni fa.
E visto che i suoi annetti sono settantasette e che all’eventuale Insediamento ne avrebbe oltre settantanove si capisce che in proposito non spinga troppo sull’acceleratore.
Quattro
Mi torna alla mente un tempo – non poi molti anni fa, correva il 1996 – nel quale in campagna elettorale dare del vecchio o pressappoco al rivale non andava bene essendo per i più un comportamento volgare.
In uno dei dibattiti tv, rivolto direttamente alla telecamera, l’incumbent Bill Clinton il cui antagonista era un attempato Signore, disse:
“Non è vecchio Bob Dole.
Lo sono le sue idee!”
Amen.
Varese, 17 settembre 2023
Un solo mandato?
Al riguardo: i Whig, un caso di coerenza assoluta!
La durata delle legislature? Elezioni meno frequenti? Mandati più lunghi? Ineleggibilità di quanti abbiano già governato? Poca democrazia? Troppa democrazia? Perché mai una persona, per il semplice fatto di avere raggiunto l’età prescritta, abbia diritto al voto? Se non avesse ragione Jorge Luis Borges nel dire che la democrazia sia una indebita estensione della statistica? E, trascorrendo dall’universo mondo agli USA, come mai i più grandi Presidenti americani (proprio per questo tali!) sono arrivati alla Executive Mansion malgrado il popolo fosse loro nei primi momenti elettorali, differentemente nei singoli casi, nelle urne contrario? (Thomas Jefferson, Abraham Lincoln, Teddy Roosevelt, Lyndon Johnson, nell’ordine temporale i dessi). Secoli che di tutto questo si parla. Invano. Inutilmente. Negli anni Trenta/primi Cinquanta dell’Ottocento – al fine, all’inizio, in particolare (semplificazione estrema) di combattere la politica di Andrew Jackson – nacque, prosperò e declinò negli Stati Uniti un nuovo movimento politico, quello dei Whig. Fra l’altro, sostenevano costoro che il mandato presidenziale dovesse essere uno soltanto. Era ed è un ragionamento valido. Il Presidente USA in verità governa liberamente per i diciotto mesi iniziali del suo primo quadriennio. Poi, deve tenere conto delle a quel punto prossime Mid Term Elections il cui esito non può non preoccuparlo e comunque è importante per il suo partito le cui sorti non possono essere da lui trascurate. Nel secondo biennio, appressandosi il possibile rinnovo dell’incarico, il condizionamento è via via costantemente maggiore. (Ometto qui di indagare sul perché il di poi raggiunto – nei due terzi dei casi – traguardo elettorale porti quasi sempre a secondi mandati a dir poco deludenti). Orbene, i due Whig effettivamente eletti (William Harrison nel 1840 e Zachary Taylor nel 1848, fra l’altro due ex Generali – cosa c’entra? potrei argomentare in merito) rispettarono appieno questa volontà politica morendo entrambi in carica e pertanto non riproponendosi agli elettori. Un caso di coerenza assoluta!
Varese, 16 settembre 2023
Balletto di date pre USA. Un petit divertissement
Il Territorio sul quale oggi posa la Grande Mela (non solo, ovviamente, ma di questo parliamo), prima di essere colonia britannica adottava il Calendario Gregoriano in quanto, sia pure non lungamente, Terra d’oltreoceano olandese.
Dal momento in cui diviene dipendenza della Corona inglese usa il Giuliano.
Questo fino a settembre 1752 quando a Londra si stabilisce che lo stesso sarà sostituito dal Gregoriano.
Le date, diciamo così, locali del periodo Giuliano, quindi, non essendo in uso il Gregoriano Prolettico, gli appartengono.
Per tutto quel tempo, inoltre, nelle colonie allora spagnole come francesi, usava proprio il Gregoriano.
Per dare un’idea delle difficoltà cui nessuno in verità oggi bada, il 25 dicembre 1642 dell’attuale New York era il 4 gennaio 1643 in Canada e nello sterminato Messico spagnolo.
(Mille pesos colombiani con l’effige di Eliecer Gaitan a chi spieghi la ragione della scelta delle date natalizie 1642/1643).
Varese, 15 settembre 2023
Il Presidente degli Stati Uniti d’America
da
‘Glossario essenziale della politica americana’
in appendice l’elenco dei Capi dello Stato USA e le appartenenze partitiche
la ‘Maledizione dell’anno zero’
First and Second Ladies
A proposito del ‘potere assoluto’ che avrebbe l’inquilino di White House:
“L’unica cosa che può decidere da solo il Presidente degli Stati Uniti d’America è quando andare al gabinetto!”
(Gerald Ford)
Adlai Stevenson, candidato nel 1952, alla sostenitrice che dopo averlo ascoltato gli aveva detto “Governatore”, lo era dell’Illinois, “tutte le persone intelligenti voteranno per lei”,
“Signora, non basterà.
Occorre la maggioranza!”
“Esiste una particolare Provvidenza Divina a favore dei bambini, degli ubriachi, dei pazzi e degli Stati Uniti d’America!”
(Otto von Bismarck-Schoenhausen)
“L’Unione Europea è un prodotto della Storia.
Gli Stati Uniti della Filosofia!”
(Margaret Thatcher)
Ciò detto, da sempre il popolo americano sostiene che la persona che governa il Paese sia e non possa che essere ‘The best man’!
“Il Presidente degli Stati Uniti d’America esercita il potere esecutivo.
Lo fa attraverso il Governo composto da Ministri Segretari di Stato coadiuvato da Consiglieri per le varie articolazioni che formano l’Ufficio Esecutivo guidato dal Capo di Gabinetto.
Non ha potere legislativo alcuno ma indirizza alle Camere (oltre al tradizionale Messaggio sullo stato dell’Unione), qualora lo ritenga utile o necessario, missive che diano indicazioni che vanno però raccolte e presentate in forma di progetto alle assemblee dai componenti delle stesse.
Ha ovviamente poteri in campo amministrativo laddove procede per Decreto.
Salvo naturalmente i primi eletti (a nessuno tra loro almeno due dei tre requisiti poi dettati potevano essere richiesti), il Capo dello Stato USA deve
– avere compiuto trentacinque anni al momento delle elezioni
– essere cittadino dalla nascita
– avere avuto residenza negli States per almeno quattordici anni.
È soprattutto quanto al secondo degli elencati requisiti che si discute essendosi vie più allentate le interpretazioni in merito.
In origine (ripeto, non per i Padri della Patria nati tutti prima la Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 e il Trattato di Parigi del 3 settembre 1783) e per lungo tempo rigidissimi i canoni.
Occorreva assolutamente che l’eligendo fosse nato negli Stati Uniti.
Per dare un’idea dei cambiamenti al riguardo, quando nel 1964 i repubblicani proposero Barry Goldwater non pochi ebbero ad eccepire facendo presente che era nato sì in Arizona ma prima che quello Stato, nel 1912, fosse entrato a far parte dell’Unione.
Nel 2016 si è invece accettato ufficialmente che si proponesse Ted Cruz, Senatore del Texas ma nato in Canada, a Calgary, da madre ma non da padre di nazionalità americana.
Un davvero notevole cambiamento di punto di vista.
Il mandato del Presidente è quadriennale e, dalla approvazione nel 1951 di un Emendamento, il Ventiduesimo, scritto al fine, non solamente invero, di evitare, dopo quella di Franklin Delano Roosevelt (eletto quattro volte e morto in carica), altre Presidenze ‘a vita’, le elezioni, non ovviamente le candidature se andate a vuoto, possibili – anche non consecutive – sono due.
L’elezione stessa (che ha luogo nell’anno bisestile in conseguenza del fatto che la seconda – la prima essendo assolutamente anomala – ebbe svolgimento nel 1792 appunto bisesto) è del tutto particolare essendo la carica presidenziale conseguibile esclusivamente attraverso una votazione ‘indiretta’ ‘di secondo grado’ (il popolo non vota senza intermediari).
Dal 1848 (in precedenza ci si recava alle urne per oltre un mese ed evidentemente le disposizioni che seguono – applicabili praticamente sempre per cui è facile sapere, per dire, quando i cittadini saranno chiamati alle urne nel 2036 o nel 2048 – non esistevano), si va ai seggi ‘il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno coincidente col bisestile’ per scegliere, Stato per Stato, nella medesima consistenza numerica delle rispettive delegazioni parlamentari (Senatori più Rappresentanti), i delegati nazionali (detti Elettori con la e maiuscola – nel testo in neretto per distinguerli – e oggi, a partire dalla convocazione ai seggi del 1964 che vide partecipare cinquanta Stati e il District of Columbia, nel numero di 538 ragione per la quale la maggioranza da raggiungere è 270) i quali, successivamente, ‘il primo lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre’, riuniti nel Collegio che li raccoglie formalmente, eleggeranno davvero il desso.
(È possibile – è accaduto nel 1824 – che più di due essendo i candidati in grado di vincere negli Stati e per conseguenza conquistare Elettori nessuno tra loro arrivi alla predetta maggioranza assoluta dei membri del citato Collegio.
Nell’ipotesi, la nomina spetta alla Camera eletta in contemporanea che provvederà dopo l’insediamento e quindi nel successivo anno con un voto ‘per Delegazione’ contando uno nella circostanza ogni Stato a prescindere dal numero dei citatissimi Elettori di spettanza).
Prima di F. D. R., con la sola eccezione di Ulysses Grant (che aveva cercato invano, respinto dalla Convention, nel 1880 una terza Nomination dopo avere esercitato in precedenza due mandati), nessuno, per quanto ‘grande’ si fosse dimostrato nell’impegno, aveva brigato per una terza possibilità, in questo rispettando la disposizione orale di George Washington che, non accettando di riproporsi nel 1796, aveva detto che non si poteva sostenere per più di otto anni un peso tanto grave.
Prima che entrasse in vigore l’apposito Emendamento del 1804, non era in uso il cosiddetto ‘ticket’ (i partiti indicano insieme il candidato alla massima carica e il Vice distinguendoli), ragione per cui colui che otteneva il maggior numero di Elettori diventava Presidente e il secondo in tale graduatoria era il Vicario.
Occorse così che dopo le votazioni del 1796 in sella fosse John Adams, federalista, e al suo fianco si ponesse Thomas Jefferson, democratico-repubblicano, l’avversario sconfitto.
Dovendosi conquistare i voti degli Elettori Stato per Stato – in 48 degli stessi più il citato District il candidato che prevalga anche solo di un suffragio popolare ottiene tutti i delegati in palio (sistema ‘winner takes all’ assoluto) – può capitare, come nel 2016 nel caso di Hillary Rodham Clinton, che il più sostenuto a livello nazionale proprio in termini di voti popolari perda per Elettori.
Infiniti i record da ricordare quanto ai Presidenti (oltre a quello, indicato ma neppure avvicinabile per via dell’Emendamento di cui sopra, del secondo Roosevelt che è stato eletto quattro volte ed è rimasto in carica dal 4 marzo 1933 – il mandato, dalle votazioni del 1792 a quelle del 1932 comprese, prevedeva il Giuramento e l’Investitura appunto il 4 marzo dell’anno successivo a quello elettorale, con riferimento alla data di promulgazione della Costituzione nel 1789, e non come dal 1937 il 20 gennaio – al 12 aprile 1945!).
Ne ricordo alcuni.
L’unico che va considerato indipendente è George Washington, il primo eletto e rieletto e il solo al quale tutti gli Elettori abbiano dato il voto all’unanimità (entrambe le volte).
Il primo degli otto tra loro ai quali accadde di morire in carica (uno solo il dimissionario, Richard Nixon) e detentore altresì del primato del mandato più breve (trenta giorni, dal 4 marzo 1841 al 4 aprile successivo) è stato William Harrison.
Il primo Vice subentrato (il 4 aprile 1841) e che ha pertanto ricoperto l’incarico da lui non iniziato per più tempo in una sola legislatura, non dipoi ricandidandosi, (fino al 4 marzo 1845) è stato John Tyler.
Al proposito, fu Theodore Roosevelt, nel 1904, il primo Vicario succeduto a ripresentarsi al termine del mandato esercitato in sostituzione del predecessore.
Nella circostanza, vinse.
A parte Washington, anche James Monroe nel 1820 avrebbe potuto avere l’unanimità degli Elettori se uno tra loro non avesse deciso di votargli contro in sede di Collegio.
Gerald Ford è il solo Presidente che non sia stato eletto né come tale né precedentemente come Vice essendo subentrato nella seconda carica al dimissionario Spiro Agnew e poi a Richard Nixon a sua volta costretto alle dimissioni.
Grover Cleveland è stato eletto due volte non consecutive ed è pertanto elencato – sono compresi sia gli effettivamente vincenti che i subentrati – quale ventiduesimo e ventiquattresimo inquilino della Executive Mansion.
È per questa ragione che, pur essendo quarantacinque le persone che hanno ricoperto l’incarico, Joe Biden è il quarantaseiesimo Presidente.
Nei tempi recenti, la votazione più ‘a valanga’ è stata quella di Ronald Reagan nel 1984: cinquecentoventicinque Elettori su cinquecentotrentotto!
Dal dopo 1951, solo tre inquilini di White House tra quelli che hanno richiesto una seconda possibilità (Jimmy Carter, George Herbert Bush e Donald Trump) sono stati sconfitti.
Guardando al per noi usuale confronto Democratici/Repubblicani, ha luogo a partire dalle votazioni del 1856, dato che il Grand Old Party repubblicano è stato fondato nel 1854.
Precedentemente – si veda l’elenco in appendice – dopo Washington, come detto indipendente, un eletto federalista, quattro democratici-repubblicani, due whig, e quattro democratici in sella prima delle nominate urne 1856.
Ovviamente, la residenza del Capo dello Stato USA è la Casa Bianca (White House) – Executive Mansion – così chiamata dopo la ricostruzione conseguente l’incendio appiccato alla dimora presidenziale dalle truppe inglesi la notte del 24 agosto 1814 (era ancora in atto la cosiddetta ‘Guerra del 1812’).
E’ per tale ragione che usare l’espressione abituale ‘inquilini della Casa Bianca’ per indicare tutti i Capi dello Stato USA è una forzatura visto che non pochi tra i primi (a parte il fatto che Washington vivente non era determinata come sede e che ad inaugurare quella che possiamo definire genericamente Executive Mansion fu il secondo Chief John Adams l’1 novembre 1800) non vi abitarono affatto.
Quelle in programma nel 2024 sono le sessantesime elezioni presidenziali.
I suddetti Elettori (iniziale maiuscola) saranno votati il 5 novembre e il successivo 16 dicembre il Collegio che compongono eleggerà effettivamente il Presidente.
La nomina sarà ratificata il 6 gennaio 2025 e la cerimonia di Insediamento avrà svolgimento il 20 gennaio seguente”.
I quarantasei Presidenti con le appartenenze partitiche e le date di permanenza alla Executive Mansion:
George Washington (indipendente, 30 aprile 1789/4 marzo 1797)
John Adams (federalista, 4 marzo 1797/4 marzo 1801)
Thomas Jefferson (democratico-repubblicano, 4 marzo 1801/4 marzo 1809)
James Madison (democratico-repubblicano, 4 marzo 1809/4 marzo 1817)
James Monroe (democratico-repubblicano, 4 marzo 1817/4 marzo 1825)
John Quincy Adams (democratico-repubblicano, 4 marzo 1825/4 marzo 1829)
Andrew Jackson (democratico, 4 marzo 1829/4 marzo 1837)
Martin Van Buren (democratico, 4 marzo 1837/4 marzo 1841)
William Harrison (whig, 4 marzo 1841/4 aprile 1841)
John Tyler (whig, 6 aprile 1841/4 marzo 1845)
James Polk (democratico, 4 marzo 1845/3 marzo 1849)
Zachary Taylor (whig, 4 marzo 1849/9 luglio 1850)
Millard Fillmore (whig, 10 luglio 1850/4 marzo 1853)
Franklin Pierce (democratico, 4 marzo 1853/4 marzo 1857)
James Buchanan (democratico, 4 marzo 1857/4 marzo 1861)
Abraham Lincoln (repubblicano, 4 marzo 1861/15 aprile 1865)
Andrew Johnson (democratico ma incluso nel secondo ticket con Lincoln, 15 aprile 1865/4 marzo 1869)
Ulysses Grant (repubblicano, 4 marzo 1869/4 marzo 1877)
Rutherford Hayes (repubblicano, 4 marzo 1877/4 marzo 1881)
James Garfield (repubblicano, 4 marzo 1881/19 settembre 1881)
Chester Arthur (repubblicano, 20 settembre 1881/4 marzo 1885)
Grover Cleveland (democratico, 4 marzo 1885/4 marzo 1889)
Benjamin Harrison (repubblicano, 4 marzo 1889/4 marzo 1893)
Grover Cleveland (democratico, 4 marzo 1893/4 marzo 1897)
William McKinley (repubblicano, 4 marzo 1897/14 settembre 1901)
Theodore Roosevelt (repubblicano, 14 settembre 1901/4 marzo 1909)
William Taft (repubblicano, 4 marzo 1909/4 marzo 1913)
Woodrow Wilson (democratico, 4 marzo 1913/4 marzo 1921)
Warren Harding (repubblicano, 4 marzo 1921/2 agosto 1923)
Calvin Coolidge (repubblicano, 3 agosto 1923/4 marzo 1929)
Herbert Hoover (repubblicano, 4 marzo 1929/4 marzo 1933)
Franklin Delano Roosevelt (democratico, 4 marzo 1933/12 aprile 1945)
Harry Truman (democratico, 12 aprile 1945/20 gennaio 1953)
Dwhigt Eisenhower (repubblicano, 20 gennaio 1953/20 gennaio 1961)
John Kennedy (democratico, 20 gennaio 1961/22 novembre 1963)
Lyndon Johnson (democratico, 22 novembre 1963/20 gennaio 1969)
Richard Nixon (repubblicano, 20 gennaio 1969/9 agosto 1974)
Gerald Ford (repubblicano, 9 agosto 1974/20 gennaio 1977)
Jimmy Carter (democratico, 20 gennaio 1977/20 gennaio 1981)
Ronald Reagan (repubblicano, 20 gennaio 1981/20 gennaio 1989)
George Herbert Bush (repubblicano, 20 gennaio 1989/20 gennaio 1993)
Bill Clinton (democratico, 20 gennaio 1993/20 gennaio 2001)
George Walker Bush (repubblicano, 20 gennaio 2001/20 gennaio 2009)
Barack Obama (democratico, 20 gennaio 2009/20 gennaio 2017)
Donald Trump (repubblicano, 20 gennaio 2017/20 gennaio 2021)
Joe Biden (democratico, 20 gennaio 2021/…)
La ‘Maledizione dell’anno zero’
Tutti i Presidenti eletti a partire dal 1840 per arrivare al 1960 compreso sono morti in carica.
Tre (William Harrison, vittorioso nel 1840, Warren Harding, prevalente nel 1920, Franklin Delano Roosevelt vincente anche nel 1940) per cause naturali.
Quattro (Abraham Lincoln, eletto la prima volta nel 1860, James Garfield, in carica dopo le votazioni del 1880, William McKinley, confermato nel 1900, John Kennedy, vincente nel 1960), perché assassinati.
E’ questa la cosidetta ‘Maledizione dell’anno zero’ secondo leggenda scagliata dal Capo Shwanee Tecumseh, dopo avere perso la battaglia di Tippecanoe affrontando l’allora Governatore dell’Indiana e dipoi Presidente William Harrison.
(Volendo, si può aggiungere che Zachary Taylor, a completare il totale dei Presidenti morti, era passato a miglior vita nel 1850, finale zero).
Eletto nel 1980, Ronald Reagan subì un serio attentato nel successivo anno.
Se la cavò di misura interrompendo la serie fatale.
Andando all’ospedale, disse:
“Speriamo che il chirurgo sia repubblicano!”
First and Second Ladies
L’espressione First Lady fu usata la prima volta in occasione dei funerali della vedova di James Madison, Dolley Payne Todd, correndo luglio 1849.
Viene ovviamente usata anche per le consorti (non solo, vedremo subito) dei Presidenti precedenti.
In molte circostanze, non essendoci moglie (James Buchanan non era sposato, alcuni erano vedovi), l’incombenza era affidata a parenti o affini dell’eletto: figlie, sorelle, cognate…
Va sottolineato che Marta (Martha, nel caso) in aramaico significa ‘padrona di casa’ e che appunto Martha si chiamava la moglie di George Washington la prima ‘padrona di casa’ di una dimora presidenziale (non ovviamente la Casa Bianca, inesistente all’epoca come sopra detto).
Per quanto l’appellativo non sia molto noto fuori dalla cerchia politica USA, è d’uso chiamare Second Lady la consorte del Vice Presidente.
Ben nove Second Ladies sono diventate per differenti ragioni a loro volta First!
Varese, 14 settembre 2023
A proposito della difficoltà mentale dimostrata più volte da Joe Biden
Costituzione degli Stati Uniti d’America
XXV Emendamento, 1967
Sezione I
In caso di destituzione del Presidente, o di decesso o di dimissioni, il Vicepresidente diventerà Presidente.
Sezione II
Ogni qualvolta la carica di Vicepresidente si renda vacante, il Presidente nominerà un Vicepresidente che assumerà la carica non appena la sua nomina sarà stata convalidata da un voto di maggioranza da parte delle due Camere del Congresso.
Sezione III
Ogni qualvolta il Presidente trasmetterà al Presidente prò tempore del Senato e allo Speaker della Camera dei rappresentanti una sua dichiarazione scritta nel senso che egli non è in grado di esercitare i poteri e adempiere ai doveri della sua carica, e fino a quando egli non invierà loro una dichiarazione scritta in senso contrario, tali poteri e doveri saranno esercitati e assolti dal Vicepresidente in qualità di facente funzioni di Presidente.
Sezione IV
Ogni qualvolta il Vicepresidente e una maggioranza dei titolari dei Dicasteri dell’esecutivo oppure di altro organo, che con legge sarà indicato dal Congresso, trasmetteranno al Presidente pro tempore del Senato e allo Speaker della Camera dei rappresentanti una loro dichiarazione scritta nel senso che il Presidente non è in grado di esercitare i poteri e adempiere ai doveri della sua carica, il Vicepresidente assumerà immediatamente l’incarico quale facente funzione di Presidente. Successivamente, quando il Presidente trasmetterà al Presidente pro tempore del Senato e allo Speaker della Camera dei rappresentanti una sua dichiarazione scritta che non esistono più le condizioni di cui sopra, egli riprenderà a esercitare i poteri e adempiere ai doveri della sua carica, a meno che il Vicepresidente e la maggioranza dei titolari dei Dicasteri dell’esecutivo o dei membri dì altro organo, che con legge sarà indicato dal Congresso, non trasmettano entro quattro giorni al Presidente pro tempore del Senato e allo Speaker della Camera dei rappresentanti una loro dichiarazione scritta nel senso che il Presidente non è in grado di esercitare i poteri e assolvere ai doveri della sua carica.
Spetterà allora al Congresso risolvere la questione riunendosi, a tale scopo, entro 48 ore, qualora non fosse già in seduta.
Se il Congresso, entro 21 giorni dalla ricezione della dichiarazione scritta di cui sopra, o, se non fosse in seduta, entro 21 giorni dalla data di convocazione, dichiarerà, con due terzi dei voti di ambedue le Camere, che il Presidente non è in grado di esercitare i poteri e adempiere ai doveri della sua carica, il Vicepresidente dovrà continuare ad esercitarli ed assolverli quale facente funzioni; in caso contrario, il Presidente dovrà riprendere a esercitare i poteri e adempiere ai doveri della sua carica
Varese, 13 settembre 2023
La voce relativa all’Impeachment dal ‘Glossario essenziale della politica americana’
‘Impeachment’: è la messa in stato d’accusa del Presidente (come pure se del caso del Vice e dei funzionari) da parte della Camera dei Rappresentanti – che può assumere a maggioranza semplice l’iniziativa – per “tradimento, corruzione e altri crimini o misfatti” (dizione estremamente generica).
Se l’assemblea citata lo ritiene, il Presidente (lasciamo da parte gli altri citati) va a giudizio davanti al Senato che, essendo in quel momento Organo Giudiziario, viene per la bisogna presieduto dal ‘Chief’ della Corte Suprema e non dal Vice Presidente (per Costituzione, sua guida) o dal per l’incombenza sostituto ‘pro tempore’.
Perché si arrivi alla destituzione il giudizio negativo (positivo quanto alla richiesta) deve essere votato dai due terzi dei presenti e votanti.
Finora, tre i Capi dello Stato sottoposti alla procedura ed assolti.
Andrew Johnson, successore di Abraham Lincoln, Bill Clinton e due volte Donald Trump.
Contrariamente a quanto universalmente si ritiene, Richard Nixon non fu soggetto all’Impeachment in quanto dimessosi prima dell’inizio della procedura
Varese, 12 settembre 2023
4 luglio 2026, duecentocinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Indipendenza: scadenza che rende particolari le votazioni del 2024.
Le sessantesime elezioni presidenziali americane in programma nel 2024 rivestono una specifica importanza anche perché l’eletto – o al massimo, facendo gli scongiuri, il suo Vice – sarà in carica il 4 luglio del 2026, giorno nel quale cade il duecentocinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Indipendenza.
I precedenti storici non depongono molto positivamente, anzi.
Il 4 luglio del 1826, cinquantesimo, governava tra mille difficoltà John Quincy Adams, nominato (caso unico) dalla Camera con voto ‘per delegazioni’ ai danni di Andrew Jackson che lo aveva preceduto nel 1824 per suffragi popolari e per Elettori non raggiungendo però – quattro allora i candidati comunque in grado di dividersi tali Delegati – la maggioranza assoluta nel Collegio da questi formato.
Per di più, proprio quelle del cinquantenario furono le ore nelle quali vennero a morte sia John Adams che Thomas Jefferson.
In occasione del primo centenario – nel 1876 – volgeva al termine il secondo mandato di un chiacchieratissimo Ulysses Grant e si preannunciava una delle elezioni (con quella del 2000) più contestate dell’intera storia USA alla cui tormentata conclusione si arrivò solo a seguito di un discutibile compromesso partitico l’anno dopo, pochi giorni avanti l’insediamento a quegli anni fissato al 4 marzo.
Nel 1926, centocinquantesimo, Presidente era Calvin Coolidge succeduto, prima della personale affermazione del 1924, causa morte a Warren Harding.
Il secondo centenario datato ovviamente 4 luglio 1976 vedeva – a seguito delle dimissioni di Richard Nixon e in precedenza del Vice Spiro Agnew al quale era subentrato seguendo l’iter imposto da un Emendamento datato 1967 – alla Casa Bianca il solo Capo dello Stato americano non eletto, Gerald Ford.
E a quel novembre lo stesso sarebbe stato il primo Vicario succeduto nel Novecento (seguendo tutti gli altri vittoriosamente l’esempio di Theodore Roosevelt) a non ottenere la rielezione, venendo sconfitto da Jimmy Carter.
Resta comunque quello indicato un momento nel tempo futuro assolutamente memorabile e ben si comprende che non pochi (non certamente solo Joe Biden e Donald Trump) siano gli aspiranti ad una nomina già altrimenti di grande importanza.
Varese, 10 settembre 2023
Attenti a Nikki Haley
“Nimrata Randhawa è nata il 20 gennaio 1972”.
Messa così, che diavolo di notizia è?
“Nikki Haley è nata il 20 gennaio 1972”.
Per qualcuno, vuol dire già di più.
Significa che la sola Signora – indiana di origini e coniugata Haley, già Governatore della Carolina del Sud e Rappresentante Permanente USA all’ONU – candidata alla Nomination repubblicana in alternativa a Donald Trump, l’unico tra gli sfidanti del tycoon che guadagni consensi e che per di più sia dato vincente di addirittura sei punti percentuali contro Joe Biden in un eventuale scontro finale per White House ha aperto gli occhi al mondo proprio nel giorno in cui nell’anno seguente le votazioni entra in carica il Presidente!
È difatti dal 20 gennaio 1937 (prima occorreva il 4 marzo) che il neo o confermato eletto si insedia nella Executive Mansion.
Cabala, in qualche modo e nient’altro?
Può darsi ed anzi è certamente così.
Ma dedichiamo alla Signora – fra l’altro giovane, cosa non da poco nel panorama politico americano decisamente anziano – che si è costantemente dimostrata di ottime qualità e capace, una particolare attenzione.
Varese, 31 agosto 2023
Trump potrebbe candidarsi anche se in galera!
In nota alcune indispensabili annotazioni istituzionali
Quattro incriminazioni.
Quattro procedimenti.
Tutta pubblicità!
Mai accaduto in precedenza – e ci si confronta per la Casa Bianca addirittura dal 1788/89 (1) essendo quello previsto per il 2024 il sessantesimo certame – che un candidato sia stato quotidianamente, del tutto gratuitamente senza spendere un dollaro, bene o male, sulla bocca di tutti come oggi non da oggi Donald Trump.
I sondaggi confermano che, lungi dal danneggiarlo, il bailamme giudiziario che molti – lui per primo e lo afferma ad ogni piè sospinto – ritengono persecutorio e teso soltanto a toglierlo di mezzo costi quel che costi lo favorisca.
Ovviamente nei confronti di un certo elettorato.
(Mai dimenticare il fatto che il seguito nelle urne non va cercato altrove, tra quanti si oppongono – non si deve cioè convincere nessuno di parte e idea avversa – ma, appunto, usando il linguaggio adatto e consono, tra coloro che sono politicamente, ideologicamente, attigui, vicini.
Nel caso, tra quanti – un numero assai notevole – non molto tempo fa, Hillary Rodham Clinton definì ‘deplorables’ che certamente non per questo hanno perso il diritto al voto).
È l’ex inquilino di White House – che potrebbe correre per lo scranno presidenziale anche se condannato e perfino dalla prigione (come fece nel 1920 Eugene Debs) – in vantaggio tale nei riguardi dei contendenti la nomination repubblicana da rifiutare di partecipare ai dibattiti televisivi che tra gli altri hanno preso il via.
Cerca così facendo di distinguersi vie più da ‘nanetti’ – nella sua considerazione e che come tali vuole rappresentare – con i quali è bene non abbia a che fare.
Una strategia per il momento pagante anche perché tra gli otto sfidanti (sette uomini e una donna) finora in campo invero nessuno pare carismatico al punto di poterlo seriamente contrastare, deludente e già in fase calante risultando il tanto atteso Governatore della Florida Ron DeSantis.
Si appresta – giudicando oggi e confidando nel futuro favore degli Dei perché le cose in politica possono repentinamente cambiare – così, slalomeggiando da gennaio tra Caucus, Primarie e aule tribunalizie, ad opporsi infine all’odiato Joe Biden, a suo modo di vedere l’usurpatore.
Ammesso che questi davvero venga accettato dai democratici malgrado soprattutto l’età decisamente avanzata.
Mancando peraltro avversari veri per la nomination cos’altro in proposito aspettarsi?
Interessante ricordare che quanto sta cercando di fare Trump – tornare alla Executive Mansion dopo un intervallo di quattro anni – ha un solo precedente storico.
Grover Cleveland fu difatti eletto una prima volta nel 1884, perse nel 1888, rivinse nel 1892 ed è pertanto elencato ufficialmente sia come ventiduesimo che quale ventiquattresimo Presidente.
Il tycoon è stato il quarantacinquesimo Capo dello Stato USA e vuole che in futuro lo si ricordi anche come il quarantasettesimo.
(1) Dalla citata prima volta (la sola nella quale i seggi restarono aperti anche in un anno dispari, il 1789 appunto) alla tornata del 1844 compresa non si è votato in un solo giorno ma per all’incirca un mese.
E’ dal 1848 che ci si reca in cabina “il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno coincidente con il bisestile”.
In tale circostanza, per quanto si dica il contrario, non viene effettivamente eletto il Presidente ma, essendo quella presidenziale una ‘elezione di secondo grado’ non diretta ad opera del popolo, scelti Stato per Stato in proporzione al numero degli abitanti, gli Electors (iniziale maiuscola per distinguerli dagli elettori comuni), delegati che poi, “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del successivo dicembre’, provvederanno nel da loro stessi costituito Collegio Elettorale.
E’ guardando secondo le due sopraesposte disposizioni il calendario del 2024 che si conclude che la prima incombenza è fissata al 5 novembre (il primo martedì dopo…) e la seconda al 16 dicembre (il primo lunedì dopo…).
Allorquando al termine della votazione novembrina si dice che il Tal dei Tali è stato eletto si finge che così sia.
In verità il predetto Tal dei Tali avrà conquistato un numero di Electors pari o superiore alla maggioranza assoluta degli stessi e si può dire verrà poi dai medesimi incardinato.
Dalle votazioni del 1964 (quando per la prima volta parteciparono al voto cinquanta Stati e il District of Columbia), gli Electors sono totalmente 538 ragione per la quale occorre catturarne almeno 270.