sabato, Luglio 27, 2024

IL PRAGMATISMO GEOSPAZIALE

Ciò che fa la differenza, nel mondo che viviamo, è la riflessione per l’azione geo-strategica. “Geo” è il nostro paradigma di riferimento.

Se davvero vogliamo governare i fenomeni storici, e non esserne governati, dobbiamo lavorare, nella prospettiva della “società 5.0”, a una nuova allenza tra Politica e Tecnologia. Un’alleanza che si cali, dall’alto e nel profondo, nel mondo-che-è, realisticamente.

Qui cerchiamo di fare cultura della “scienza del dove”, intuizione straordinaria che ci indica due strade da percorrere contemporaneamente: investire sulla comprendere delle complessità dei luoghi di vita (da ogni territorio al mondo); cercare di vedere ciò che gli altri non vedono.

Ebbene, dal disagio sociale ai cambiamenti climatici, passando dalla mobilità, dal governo delle città e dei territori e da molto altro, il paradigma geospaziale diventa irrinunciabile.

La “scienza del dove” permette di far incontrare complessità e governo, pensiero innovativo e possibilità di “nuovo” sviluppo. Le classi dirigenti, rispetto alla tecnologia, si fermano un attimo prima dello “specchio di Alice” e temono di aprire la porta delle possibilità oltre la quale si apre il mondo del futuro già presente. Altresì, quella porta ci fa entrare in un pragmatismo “glocale” e non più limitato allo spazio terrestre ma già lanciato nello spazio esterno come “dominio” vitale.

La “scienza del dove” permette di mostrare ai cittadini come l’investimento in tecnologie geospaziali rappresenti la frontiera di uno Stato e di istituzioni intelligenti che comprendano le prospettive delle loro sostenibilità e resilienza. Tante sono le eccellenze già in campo, e non da oggi: occorre, però, una visione sistemica.

Molti fattori, a cominciare dalla guerra che si combatte nel cuore dell’Europa, portano conseguenze nelle nostre vite e ribaltano convinzioni, cancellano certezze, chiamano a nuove responsabilità. A cominciare dal costruire mappe della complessità in progress e strumenti adeguati a ri-aprire gli occhi stanchi di società disabituate, paradossalmente, a comprendere le progettualità che generiamo.

 

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