giovedì, Novembre 7, 2024

IL MANIFESTO DELLA SOCIETA’ 5.0 E I PERCORSI DELLA PACE

Bruno Ratti, fondatore di Esri Italia, aveva elaborato il Manifesto della Società 5.0. Una eredità per noi fondamentale e attualissima. Così è scritto nella introduzione: Questo Manifesto è rivolto a tutti i partecipi della Rivoluzione Digitale (scienziati, tecnologi, amministratori, imprenditori) che, nel contesto delle trasformazioni sociali indotte dalle nuove tecnologie, vogliano contribuire a creare il futuro dei nostri figli secondo ideali di valori positivi e sostenibili. (…) Il progresso delle tecnologie porterà ad una società oblativa verso i bisogni dell’uomo o piuttosto genererà una società polarizzata solo sull’efficienza produttiva con una forza lavoro umiliata dalla competizione con l’Intelligenza Artificiale? Possiamo solo dire che tutto dipenderà da come sarà governato il processo di cambiamento.

Il ragionamento è molto ampio e complesso e chiede di essere approfondito attraverso un lavoro quotidiano e visionario. Un passaggio che proponiamo riguarda la parola ‘pace’, oggi abusata ma che tutti vogliamo.

Eppure, nel nostro terzo millennio, la pace appare sempre più irraggiungibile. Nelle piazze si urla la voglia di pace ma, a ben guardare, non abbiamo l’animo pacificato e il pensiero non è focalizzato nella realtà complessa dei rapporti di forza in essere.

Perché la pace non si riferisce solo alle guerre (complessità nella complessità). La pace è percorso profondo e sempre ‘in compimento’. Il nostro urlo di pace non deriva dal silenzio ma dal continuo scontro competitivo tra posizioni ‘dogmaticamente’ radicalizzate. Che si parli del destino dei popoli, del male banale, dell’intelligenza artificiale (la competizione è tra tecno-ottimisti e tecno-antagonisti) o del clima (la COP28 di Dubai sembra più ricca di compromessi che non di mediazioni), il tema è sempre lo stesso: imporre un punto di vista partigiano, di fatto dimenticando che – al di là dell’arena – vi sono le condizioni esistenziali del ‘noi umanità’, c’è la vita vera.

E la pace, ancora, non può nascere nel pensiero lineare e separante. Tutto si tiene e ci illudiamo di poter affrontare ‘una sfida alla volta’: come se le altre sfide aspettassero di entrare sul palcoscenico delle nostre decisioni geostrategiche. Non ci sono più un dentro e un fuori e, soprattutto, non ci sono più confini tra una sfida e l’altra e tra i nostri territori e il mondo.

Quando urliamo la pace, molto spesso con una furia che somiglia a quella bellicista che vorremmo combattere, facciamo (paradossalmente) il gioco della guerra, ne alimentiamo la cultura. E’ giusto manifestare per la pace ma dobbiamo trasformare il pensiero, maturando in ciò di cui stiamo parlando. La Storia ci chiede di essere adulti e consapevoli perché non si potrà avere la pace se non lavorando (come classi dirigenti, in quanto soggetti storici e cittadini) nel mondo che abbiamo: ciò che vediamo e ciò che diventiamo, infatti, dipendono esclusivamente dalla nostra responsabilità.

La Società 5.0 ha bisogno di nuovi approcci, nuove mediazioni, nuove visioni per un nuovo Umanesimo.

(riproduzione autorizzata citando la fonte)

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