giovedì, Dicembre 12, 2024

MIGRAZIONI: IL NUOVO CORSO AMERICANO E LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA

The Science of Where Magazine incontra Kelly Petillo, programme coordinator per il Medio Oriente e il Nord Africa presso il think tank European Council on Foreign Relations

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Qual è la tesi del tuo articolo “Out of place: Why Europe needs a new refugee policy” (European Council on Foreign Relations)?

L’Amministrazione Biden ha rinnovato l’impegno degli Stati Uniti nei confronti dei diritti umani, rompendo con il disprezzo verso le norme internazionali e il multilateralismo che ha caratterizzato l’era Trump. Ritengo che in Europa si debba sfruttare la linea di cambiamento che viene dagli Stati Uniti per spingere collettivamente verso un cambiamento delle politiche europee nei confronti dei rifugiati, sia in termini di politica comune dei rifugiati che di accordi bilaterali tra l’UE e Paesi del Medio Oriente che ospitano o generano rifugiati  e accordi bilaterali tra gli Stati membri dell’UE e quei Paesi. Nell’articolo spiego come gli accordi europei degli ultimi anni, ad esempio quello del 2016 con la Turchia o quello recentemente rinnovato tra l’Italia e le autorità libiche, siano progettati semplicemente per tenere rifugiati e migranti fuori dalle coste europee. Ciò, a mio avviso, trascura la necessità di affrontare la situazione nei Paesi che stanno sopportando il peso maggiore della crisi dei rifugiati, degli abusi e del trattamento illegale di persone che cercano di mettersi in salvo. Per essere chiari, non sto sostenendo che gli europei dovrebbero aspettare una chiara indicazione dagli Stati Uniti. Questi ultimi, infatti, non si preoccupano di affrontare in maniera definitiva le molteplici crisi che devastano il Medio Oriente  e, probabilmente, si concentreranno su operazioni chirurgiche in termini di antiterrorismo e su altre priorità chiave, come l’Iran. Ma un cambiamento nella leadership degli Stati Uniti ha ricadute globali in termini di clima politico, anche in Europa. Trump, da solo, non è stato responsabile dell’aumento del sentimento anti-rifugiati in Europa: egli ha tuttavia contribuito a esacerbare queste tendenze legittimando attori e politiche che denigrano i rifugiati e trascurano i loro diritti. Si spera che Biden, ricorrendo a una spinta multilaterale sui valori normativi che gli Stati Uniti condividono con l’Europa, possa contribuire a cambiare questa tendenza.

Le politiche migratorie, soprattutto negli ultimi anni, hanno rappresentato un motivo di conflitto culturale e politico all’interno dell’Unione Europea. Quali sono i vantaggi di una immigrazione “regolata”, senza rinunciare agli aiuti umanitari sempre più indispensabili?

Un accordo che sia in grado di regolamentare in modo completo i movimenti dei rifugiati in arrivo è nell’interesse europeo sia per ragioni di sicurezza che politiche. È giusto preoccuparsi della protezione dei confini. Tuttavia, l’Europa non riesce a farlo veramente se manca di un’attenzione globale rispetto alle molteplici crisi che colpiscono i Paesi dell’area MENA. A mio parere, la questione dei rifugiati è stata altamente politicizzata e spesso strumentalizzata per ottenere vantaggi politici. In Italia, rifugiati e migranti sono stati utilizzati durante le elezioni del 2018 dalla Lega  come con-causa dei numerosi problemi socio-economici che il Paese doveva affrontare e la mobilitazione del sentimento anti-rifugiato ha aiutato il partito a ottenere voti. A livello europeo, la questione dei rifugiati è vittima di una mancanza di coesione. Al momento assistiamo a sottogruppi di Stati che cercano di spingere per i loro rispettivi interessi attraverso la questione della migrazione. Gli Stati dell’Europa meridionale, inclusa l’Italia, sottolineano la condivisione degli oneri. I Paesi del gruppo di Visegrad, e altri come l’Austria, spingono sulla sicurezza e sul controllo delle frontiere. Alcuni Paesi (tra cui ancora l’Italia, ma anche Malta) hanno utilizzato la pandemia per dichiarare i loro porti non sicuri per le persone soccorse dalle ONG, facilitando di fatto il ritorno dei rifugiati in Paesi riconosciuti come non sicuri, come la Libia. Diversi Stati membri come la Grecia hanno respinto illegalmente i migranti con relativa impunità. Queste politiche, aiutate dalla pandemia, potrebbero essere riuscite a tenere lontani i rifugiati ma, nel frattempo, le crisi e le disuguaglianze nella regione sono aumentate in modo esponenziale e, di conseguenza, più rifugiati cercheranno di raggiungere l’Europa. Il Vecchio Continente, dunque, può aver fermato gli arrivi ma è lontana dal raggiungere la stabilità nel suo vicinato, necessaria per impedire alle persone di partire. Data la congiuntura attuale, che vede numeri relativamente gestibili, si potrebbe sostenere che trattare con i rifugiati ai nostri confini ora dovrebbe essere un’impresa fattibile. In tal modo, gli europei potrebbero trarre vantaggio da storie di successo come la pluripremiata Humanitarian Corridors Initiative, avviata da gruppi religiosi italiani nel 2016, che si è rivelata vincente e che potrebbe essere replicata su scala più ampia: certo la pandemia impone altre priorità ma la discussione nel merito è possibile.  In termini di aiuti umanitari, la pandemia ha comportato una diminuzione del sostegno per il 2020. Sebbene l’Europa si sia impegnata ad aumentare gli aiuti alla regione, ciò non riesce ancora a soddisfare in modo completo le esigenze. La prossima conferenza di Bruxelles sul futuro della Siria, e altri momenti simili, dovrebbero vedere l’impegno per un pacchetto realistico di iniziative. Gli europei dovrebbero anche mostrare la leadership sul fronte dei vaccini e garantire che i rifugiati nella regione siano considerati. Non credo che questo significherebbe trascurare le crisi economiche che i Paesi europei stanno affrontando: se non forniamo vaccini in modo adeguato, infatti, non porremo fine alla pandemia e non riprenderemo la mobilità economica.

Le migrazioni rappresentano una sfida globale. Esse incontrano la sfida climatica, soprattutto nei Paesi africani e del Medio Oriente. Esiste la possibilità, con la nuova Amministrazione Americana, di un realistico approccio multilaterale?

Con Trump, gli Stati Uniti sono stati in gran parte assenti dal dibattito globale sui rifugiati. Con Trump, gli Stati Uniti hanno respinto il Global Compact delle Nazioni Unite nel 2016 e non hanno firmato la dichiarazione di New York e la successiva dichiarazione di Marrakech. Al momento della inaugurazione di Biden, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi hanno dichiarato il loro auspicio di accogliere gli Stati Uniti nei Global Compacts, sottolineando la forte partnership storica tra Stati Uniti e UNHCR. Tuttavia, Biden non ha ancora annunciato che aderirà a questi accordi, che non sono vincolanti (anche se ciò manderebbe un segnale di rinnovato impegno degli Stati Uniti per affrontare la questione della migrazione a livello globale). Quindi, sebbene ci sarà effettivamente una maggiore cooperazione transatlantica su questioni di interesse comune come il clima, e mentre gli Stati Uniti sono pronti a ripristinare ampiamente gli aiuti umanitari nella regione MENA, non credo che la migrazione sarà una priorità autonoma nella cooperazione transatlantica ma lo sarà all’interno di una cooperazione articolata: clima, sicurezza, antiterrorismo e diritti umani. Questo non dovrebbe scoraggiare L’Europa: si tratta di una opportunità per svolgere un ruolo di primo piano su questo fronte e per proporsi come attore globale i cui obiettivi soddisfino gli standard normativi globali. E, come sostengo nel mio articolo citato nella prima domanda, una maggiore cooperazione su altri fronti e un maggiore impegno degli Stati Uniti per i diritti umani sono ancora fattori importanti che hanno il potenziale per creare slancio e per spostare il dibattito europeo in una direzione più positiva. Guterres ha lanciato un invito all’azione sui diritti umani che è stato ufficialmente approvato dall’UE il 22 febbraio. Gli Stati Uniti sono tornati a far parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Potrebbe realizzarsi, dunque, una cooperazione che abbia il potenziale indiretto di migliorare la vita di rifugiati e migranti.

Quanto incide la debolezza dell’Europa in termini di politica estera comune sulla risoluzione dei conflitti in Africa e Medio Oriente (che inevitabilmente provocano migrazioni forzate)?

Occorre allargare lo sguardo e il framework di riferimento. A mio avviso, concentrandosi solo sulla migrazione e sulla sicurezza non si riuscirà a raggiungere la stabilità. Concentrarsi sulla gestione della migrazione a scapito del soddisfacimento dei bisogni umanitari fondamentali e della prevenzione degli abusi sia nelle comunità locali che in quelle dei rifugiati significa, paradossalmente, contribuire all’aumento dei conflitti, dell’insicurezza e delle difficoltà economiche, che sono sempre più un fattore che spinge i rifugiati a trasferirsi in Europa. Significa anche creare un precedente di impunità. Gli europei sono uno dei pochi attori che hanno interesse a mantenere in vita le norme globali come parte della loro ragion d’essere. Vale anche la pena notare che, in molti casi, l’attuale approccio ai rifugiati ha visto l’Europa soggetta alle pressioni dei suoi vicini, come nel caso della Turchia e della Grecia. A mio avviso, l’Europa deve fornire un pacchetto completo di sostegno a Paesi come il Libano (che ospita il maggior numero di rifugiati pro capite). Per quanto riguarda la Turchia, l’Europa dovrebbe far leva sui negoziati in corso per il  rinnovo dell’accordo al fine di rivisitarne i parametri. L’accordo del 2016 ha cercato di affrontare la realtà sulla base della situazione nel 2015. C’è ora spazio per uno spostamento dell’attenzione, dalla sola prevenzione della migrazione al miglioramento diretto delle condizioni dei rifugiati nel Paese, nel quadro del Global Compact on Refugees – che è stato firmato sia dalla Turchia che da tutti i Paesi membri dell’UE (Ungheria esclusa).

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