sabato, Luglio 27, 2024

PUNTO DIPLOMATICO. LE GRANDI SFIDE GLOBALI: PARLA L’AMB. UMBERTO VATTANI

Anticipiamo l’intervista concessa dall’Ambasciatore Umberto Vattani a The Science of Where Magazine che sarà pubblicata nel numero cartaceo di dicembre.

Umberto Vattani è l’unico ambasciatore ad essere stato nominato due volte Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, la carica più alta in Italia per un diplomatico. Con una lunga carriera diplomatica, è stato a New York presso le Nazioni Unite, all’OCSE a Parigi e all’Ambasciata d’Italia a Londra. È stato Ambasciatore in Germania e Rappresentante permanente presso l’Unione Europea a Bruxelles. Al suo rientro in Italia, ha assunto una serie di importanti incarichi alla Farnesina e a Palazzo Chigi, come consigliere diplomatico e rappresentante personale ai vertici del G7 di tre Presidenti del Consiglio dei Ministri: Ciriaco De Mita, Giulio Andreotti e Giuliano Amato. Presso il Ministero degli Affari Esteri ha creato, 25 anni fa, una Collezione permanente d’arte per promuovere gli artisti italiani contemporanei. Dopo il 2005, Umberto Vattani è stato nominato Presidente dell’Istituto Commercio Estero. Attualmente è Presidente della Venice International University con sede sull’Isola di San Servolo, nella laguna di Venezia.
Quali prospettive realistiche vede per una soluzione della guerra in Ucraina ?
Chiariamo fin da subito che ci troviamo di fronte  a una guerra di aggressione, che non può trovare giustificazione alcuna. Penso che sia interesse generale mettervi fine il prima possibile perché, più il conflitto si prolunga, più si incancrenisce. Senza parlare della eventualità che le ostilità in corso si accentuino con ulteriori escalation (da parte ucraina, con la richiesta di fornitura di missili a più lungo raggio e, da parte russa, con la minaccia del ricorso alle armi nucleari). L’obiettivo immediato dovrebbe essere di ridurre progressivamente la tensione seguendo due strade: 1) raggiungere accordi limitati (si pensi a quello sullo sblocco del grano così come si potrebbero immaginare intese tacite per non bombardare infrastrutture civili, città con forte densità di popolazione e centrali elettriche e nucleari); 2) mirare a un ‘cessate il fuoco’. L’esperienza di questi ultimi mesi dimostra quanto siano difficili entrambe le strade ma, certamente, più complesso ancora è l’obiettivo di far cessare le azioni militari. Ciò comporta che, una volta raggiunta la tregua, si debba verificare ciò che accade lungo la linea di confronto tra le truppe (verifica costante della cessazione delle ostilità): si tratta di una linea di circa 2000 chilometri ed è evidente la difficoltà. Vi è ora l’ulteriore complicazione che, data la controffensiva delle forze ucraine, per indurre Kiev ad accettare il cessate il fuoco occorrerebbero garanzie (assicurare che non verrebbe di nuovo aggredita). Le parti in causa non sembrano fidarsi del tutto dell’OSCE mentre sarebbe percorribile l’uso di forze di pace delle Nazioni Unite: a meno che si avvii uno scambio di idee tra i due contendenti (Kiev e Mosca) per capire quale potrebbe essere la soluzione finale da raggiungere una volta terminato il conflitto: all’Ucraina, la sovranità e l’integrità territoriale – alla Russia, sulla linea del Presidente francese Macron, la ‘non umiliazione’).
Sullo sfondo vi è un contesto geopolitico generale che è cambiato e che continuerà a cambiare. Italia e Gran Bretagna hanno nuovi governi, gli USA hanno votato per le elezioni di mid-term con un’affermazione repubblicana limitata, in Brasile è finita l’era di Bolsonaro e l’attacco al gasdotto del nord ha creato un impatto sulla Germania. In Israele, il ritorno di Netanyahu avrà conseguenze non solo sull’area mediorientale.
Anche in conseguenza della guerra in Ucraina, l’Europa ha a che fare con la sua autonomia strategica in campi sensibili come l’energia. Come si sta muovendo il Vecchio Continente ?
Pochi ricordano che all’origine del mercato comune, e poi dell’Unione Europea, c’è stata la CECA, prima organizzazione europea sovranazionale il cui obiettivo era quello di mettere a fattore comune due elementi fondamentali che erano stati causa di continue tensioni, in particolare tra Francia e Germania: il carbone e l’acciaio. Oggi la principale fonte di energia è rappresentata da combustili di ben altra natura. A parte il mercato, c’erano altri elementi da affrontare in maniera solidale per l’importanza che assumevano le materie prime energetiche per l’Unione Europea. Non si vedono ragioni per non procedere nello stesso modo anche ora. Mentre il carbone e l’acciaio erano presenti in misura importante nei territori di alcuni Paesi membri (Germania, Francia, Lussemburgo), non è così per il gas e per il petrolio: è giusto, allora, affrontare la quesione non con piccole misure ma in maniera strutturale, solidale e strategica.
I cambiamenti climatici rappresentano una sfida ormai strutturale. Stiamo andando nella giusta direzione di una sostenibilità politico-strategica del mondo? 
E’ soprendente come, in questo periodo di straordinaria situazione climatica, non vi sia un’adeguata consapevolezza di cosa essa rappresenti come allarme e quali siano i rischi che comporta. Stiamo vivendo una situazione di graduale deterioramento delle condizioni ambientali e dell’impatto sul clima. Ci può aiutare l’apologo della rana: essa sta sul fondo della pentola al fresco. Se si accende il fuoco lento, la rana non reagisce fino a non rendersi conto della sua fine (graduale). Allo stesso modo, la gradualità dei cambiamenti climatici riduce lo stimolo a reagire e ad adottare le misure necessarie. Il rischio si aggrava più passa il tempo e più sarà difficile raggiungere l’obiettivo dell’abbassamento di 1,5 gradi della temperatura del pianeta. In più, in questa fase, vi è l’aggravante della guerra che ha fatto passare in secondo o in terzo piano un problema esistenziale per tutti ma, soprattutto, per le popolazioni più povere del pianeta che sono, e saranno sempre più, costrette ad emigrare: la desertificazione, infatti, si sta mangiando ampie porzioni di terra fertile così come le inondazioni.
La ‘rivoluzione tecnologica’ è complessa e riguarda tutto, dalle nostre vite personali alle relazioni internazionali. Con quale approccio un diplomatico di lungo corso guarda alle nuove frontiere della tecnologia ? 
Non vi è dubbio che la tecnologia abbia assicurato il progresso dell’umanità: le comunicazioni sono diventate  immediate e nuovi prodotti hanno invaso i mercati. Giano bifronte, la tecnologia porta con sé grandi benefici e altrettanti rischi che, però, si rendono visibili solo a distanza di tempo (i manufatti in plastica, solo per fare un esempio, erano perfetti, leggeri, resistenti ma pochi hanno pensato che queste caratteristiche avrebbero potuto comportare rischi quasi irreversibili per l’ambiente). Con il motore a scoppio si è scoperto che con un litro di benzina un veicolo di 300 kg poteva percorrere circa 11 km ma ben pochi avevano pensato all’impatto ambientale. Già Erodoto ammoniva che di tutte le cose occorreva guardare lontano. Noi siamo molto bravi nello scoprire nuove tecnologie ma siamo molto meno capaci di prevederne le conseguenze. Discorso a parte meritano le tecnologie più invasive: una per tutte, l’intelligenza artificiale. Siamo noi stessi che forniamo i dati e consentiamo a macchine ‘intelligenti’ di prevedere i probabili comportamenti attraverso gli algoritmi. Ampia è la ricerca e la letteratura sulle possibili compromissioni delle libertà: spetta alla  filosofia e all’etica di valutarne gli aspetti che possono apparire poco in linea con il mondo che noi stessi ci aspettavamo. Un ulteriore aspetto di queste tecnologie, che si lega alla corsa competitiva alle materie prime ‘critiche’, è la competizione strategica: molto si parla, soprattutto in relazione alla questione dei semiconduttori, della ‘guerra’ commerciale tra USA e Cina. Ebbene, come si vede, le tecnologie rappresentano una realtà complessa da sempre, oggi più che mai. Nuovi dialoghi e nuove riflessioni sono urgenti, così come nuove regolazioni a livello internazionale.

 

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